Le Torri Umane di Irsina


 

Il miti festival delle Torri umane di Irsina.

 

Devozione e pizzicanto’.

 

le torri umane di irsina

 

Le torri Umane di Irsina un’attrattiva unica della Basilicata

Una storia che si perde nei secoli addietro.

 

La festa delle torri realizzate dagli abitanti irsinesi rappresenta ancora una delle attrattive storico culturali più interessanti della Regione.

 

Origini della manifestazione

Il culto di Maria e conseguentemente la sua rappresentazione, risale ai primi tempi del cristianesimo.

 

Ma è solo a partire dal XV secolo che comincia il periodo più fecondo di celebrazioni del culto mariano.

 

Le quattro principali (Assunzione, Purificazione, Natività, Annunciazione) vengono man mano accresciute da altre secondarie istituite:

  • o per commemorare alcuni minori avvenimenti della vita della Vergine,

 

  • oppure per esaltare qualche sua virtù o privilegio.

 

Tra queste nuove feste vi è la Madonna della Addolorata la cui più evidente rappresentazione è quella della spada o pugnale che va a ferire il petto della Vergine, in riferimento alla predizione del Vecchio Santo Simone al tempio:

“ecco Questi (Gesù) è destinato ad essere occasione di caduta e di risorgimento per molti in Israele e, a segno di contraddizione, Tu stessa ne avrai l’anima trafitta da una spada” (Lc 2, 34-35).

 

Verso la fine del XIV secolo nasce un sottotipo dell’Addolorata, quello della Pietà, ossia l’Addolorata con Cristo morto sulle ginocchia.

 

Alla pittura della Pietà segue la scultura fino a quella famosa di Michelangelo in San Pietro in Vaticano da cui si dipartirà il filone più consistente del culto della Pietà.

 

Alla scena michelangiolesca si rifà anche la statua venerata ad Irsina.

 

Questa statua, anticamente custodita nel Santuario della Pietà, è stata realizzata in gesso e cartapesta ed è una sorta di sintesi tra l’Addolorata e la Pietà.

 

Infatti qui troviamo sia la scena del Michelangelo e sia il pugnale che attualmente è posto nel petto della Madonna solo in occasione della processione.

 

Anche se non esistono, allo stato attuale delle ricerche, documenti attestanti l’origine del culto ad Irsina, possiamo pensare che questo sia stato introdotto nella devozione irsinese verso la metà del XVI secolo, quando qui si ebbe una serie di vescovi, dotti e saggi, che erano a stretto contatto con l’ambiente culturale romano.

 

 

La Festa

La festa in onore della Madonna della Pietà viene preceduta da un settenario preparatorio e si celebra la Domenica più vicina alla fiera di Maggio che fino alla prima guerra mondiale era fissata per il giorno venti mentre attualmente è fissata al diciotto dello stesso mese.

 

Qualche decennio fa’ la festa durava tre giorni.

 

Iniziava il Sabato pomeriggio quando la popolazione si riuniva nelle vicinanze del Santuario dove aveva modo di assaggiare lattughe, finocchi e specialmente “vongoli”.

 

I ragazzi non sempre si procuravano queste leccornie in modo lecito, per cui gli ortolani stavano in benevole guardia.

 

Quando i procuratori erano pronti la statua era presa dal Santuario e di lì portata in processione alla Cattedrale.

 

L’onore di portare la Vergine sulle spalle veniva concesso a chi pagava di più.

 

Canti mariani popolari e preghiere dialettali accompagnavano la lunga processione.

 

Molte donne andavano scalze mentre le signorine intonavano una preghiera al fine di invocare la grazia di un marito, essa diceva:

 

O Marej da Piatet
o dvena Majstet
cheda grazij ca t’cerch
mle fe p’cartet
o Marej da Piatet

 

(O Maria della Pietà, o divina Maestà, quella grazia che ti chiedo me la devi fare per carità, o Maria della Pietà)

 

La lunga processione si snodava sull’odierna Via Tolve verso l’abitato nei cui pressi attendeva il Capitolo che finalmente dava crisma d’ufficialità alla manifestazione.

 

Ai canti mariani e alle preghiere faceva eco il suono della banda paesana e lo sparo di mortaretti mentre i giovani facevano il “pizz’ cantò” le cui origini si perdono nella notte dei tempi e forse fu qui importato dai monaci bizantini quando si stabilirono nella vicina contrada di Juso.

 

Il Pizzicandò che sarà trattato nelle pagine seguenti, era una piramide umana ruotante che si muoveva verso l’ingresso della chiesa tra gli applausi o la critica di amici e paesani che commentavano la bravura o meno dei partecipanti.

 

Nel primo pomeriggio della Domenica si svolgevano varie manifestazioni sportive.

 

Tra queste vi era la “cuccagna” che consisteva nell’arrampicata ad un palo, reso viscido dal grasso, sulla cui cima erano posti per premio: latticini, salami, vino ed un gallo.

 

La sera della Domenica, dopo la Messa, era ordinata la processione che si svolgeva, e tuttora si svolge, attraverso le vie del vecchio e del nuovo centro abitato.

Attualmente, per le vie del centro antico, la statua della Madonna viene portata a spalle da alcune devote signore.

Le vie venivano addobbate con coperte lenzuola e luci e al passaggio della processione vi era il lancio di fiori sulla Madonna.

 

La statua era presa altre volte dal Santuario come in occasione di pellegrinaggi indetti per impetrare particolari grazie alla cittadinanza, specialmente in occasione di prolungate siccità, di carestie o eventi bellicosi.

 

In tali circostanze il pellegrinaggio si svolgeva per la via della Pietà, una stradina rurale irta e faticosa.

 

Le Preghiere alla Madonna

Oltre alla preghiera prima riportata vi erano altre preghiere che venivano recitate durante il mese di Maggio:

 

“O Madonn’ da Pjatet’
o d’ven majstet’
cheda grazj ca vulem’
a Madonn’ r’currem’.
Damm’ grazj Marej
com’ t’ dec’ u Padratern’
sej la Madr’ d’ Dej
fam’ grazj Marej”.

(O Madonna della Pietà o divina maestà, per quella grazia che vogliamo alla Madonna ricorriamo. Dammi grazia, Maria, come ti dice il Padreterno, sei la Madre di Dio, fammi grazia Maria)

 

“O Marej da Piatet’
tot’ u mon’ e cam’net’
u mon’ Calvar’ è (n)ghianet’
tant’p’n’affann’ è r’vet
i stred d’ Gerusalem’ è passet’
da do foj strasc’net u fgliol d’ dej
i sant’ S’bolchr’ è v’stet’
a chesa mej non è r’vet
arrev’ prest’ Verg’n, da Piatet’
vin’ a mit pec’, cuncord’
l’an’ma a la chesa mej
vin’ a liv’ u cor’ d’ tanta pen’
fal’ p’ la tua mort’ e passion’
fal’ p’ cor Gesù ca tin’ braz’
p’ noj foj mes’ a la colon’
p’ noi foj mes’ in croc’
p’ noj foj mort’ e sfrag’let’
graz’ t’ cerch’
sta graz’ ca t’ cerch’
cuncess’ m’ sia
m’ prostr’ a tè
“Una grande virtù”
e dech’ tre Ave Marej
(O Maria della Pietà, tutto il mondo hai camminato, il monte Calvario hai salito, con un affanno sei arrivata, le strade di Gerusalemme hai attraversato per dove fu trascinato il figliolo di Dio, i Santi Sepolcri hai visitato, a casa mia non sei arrivata, arriva presto Vergine della Pietà, vieni a mettere pace, concordia, alla casa mia, vieni a togliere le tante pene, fallo per la tua morte e passione, fallo per quel Gesù che tieni in braccio.

 

Per noi fu messo alla colonna, per noi fu messo in croce, per noi morì e fu flagellato.

 

Grazia ti cerco. Concessa mi sia, m’inchino a te, grande virtù e dico tre Ave Maria).

 

Il Pizzicantò e Torri Umane

l pizz’ cantò era fatto da squadre di giovani, generalmente nove, di cui cinque si disponevano in cerchio in modo da formare una base agli altri quattro che montavano con i piedi sulle spalle dei primi.

 

Non mancavano gruppi che formavano il pizz’ cantò a tre piani.

 

Questa piramide umana si muoveva in tondo ed i giovani intonavano una filastrocca che diceva:

 

E né p’zz’ candò sembr’mò sembr’mò.


e voi ca stet’ da sott


stat’v fort’ a mand’né


cè avet a scavazzè


tanta fech’ avt’avè!


E né p’zz’ candò sembr’mò sembr’mò.


e voi ca stet’ da sop’


statv’ fort’ a non cadè


cè avet’ da cadè


tanda fech’ avet’avè!


(G)hosc’ je a fest da Madonn’


l’armunej d’li donn’


E né p’zz’ candò sembr’mò sembr’mò.


E né p’zz’ candò….


Cè vet li (g)uagnedd’


vann’ tott’ pa gonna strett’


E né p’zz’ candò….


Cè vet li (g)uagnonn’


pa varva longh’ e senza calzon’

 

E né p’zz’ candò….


Cè vet li femn anzien’


vann’ tott’ pa crona men’ E né p’zz’ candò….


O z’tell’ o mar’tet’


vann’ tott’ apparccjet’


E né p’zz’ candò….


Cè a fest’ je galand’


stem’ allegr’ tot’ quand’

 

E né p’zz’ candò….


p’ i priv’t’ e M’nzgnur’


(n)gi a b’nd’zjon du S’gnor’


E né p’zz’ candò….


E voi ca stet da sop’


statv’ fort’ a non cadè


e voi ca stet’ da sott


stat’v fort’ a mand’né


E né p’zz’ candò….

 

(Quesè il Pizzicantò sempre così, sempre così, e voi che state di sotto reggetevi forte a mantenervi, che se non vi reggete e cadete tante botte avrete. E né Pizzicantò sempre così sempre così.

 

E voi che state di sopra reggetevi forte per non cadere, che se cadrete tante botte avrete.

 

Oggi è la festa della Madonna, l’armonia delle donne E né Pizzicantò sempre così sempre così.

 

E né Pizzicantò…. Se vedi i ragazzi con la barba lunga e senza pantaloni. E né Pizzicantò….

 

Se vedi le donne anziane vanno tutte con la corona in mano.

 

E né Pizzicantò…. O zitelle o maritate vanno tutte aggiustate.

 

E né Pizzicantò…. Se la festa è galante stiamo allegri tutti quanti.

 

E né Pizzicantò….

 

Con i preti e Monsignore c’è la benedizione del Signore. E né Pizzicantò….

 

E voi che state da sopra state forti a non cadere e voi che state da sotto state forti a sorreggervi. E né Pizzicantò…) 


Per lo più il pizzicandò era formato da giovani dello stesso mestiere; vi era quello dei contadini, dei muratori ecc.

 

Qualcuno ha voluto vedere nel p’zz’ candò irsinese un’allegoria politica, nel senso che esso rappresenterebbe la struttura del potere, in cui chi sta sotto, in pratica il popolo, deve sopportare il peso politico sociale ed economico dei governanti e del potere in genere, cioè chi sta sopra.

 

Anche in altri paesi lucani è presente questa tradizione.

 

Ferrandina questo ballo viene considerato un passatempo giovanile:

 

“E vu ca state da sòpo,
stativi forti e mantinuti,
ca si caditi daddò
lu faciti lu pizzicandò.
E vu ca state da sotto
Stativi fori, ecc.

 

Mentre a Melfi il pizzicandò, chiamato scaricavascio ha il preciso significato di satira politica.

 

Qui fu introdotto nel 1799 allorquando i maggiorenti melfitani aprirono le porte, senza alcuna resistenza, al Cardinale Ruffo.

 

L’atto vile indignò la popolazione che introdusse lo “scaricavascio” per simboleggiare che i maggiorenti s’improvvisarono sanfedisti per ottenere favori:

è la satira agli uomini che cambiano partito con facilità biasimevole.

 

“Vuie ca state da sopa


sttev’attinte ancora cadite,


Lu vide lu scaricavascio,


lu vide e sembra mo


Pizzic’Andò, Pizzic’Andò.


Se si spezza lu ram’ di sotto


Ve ne sciate di capisotto,


A Maria Antonia tosta tosta

 

Lu cicato facìa la posta”

 

Sia a Melfi che a Ferrandina il pizzicandò viene allestito il giorno di S. Antonio da Padova (13 giugno).

 

Sembra, comunque che questo gioco non sia altro che la discesa di una danza rituale che si troverà in Calabria con il nome di torre vivente.

Scalea (CS) “venne ripresa l’usanza di fare da parte dei marinai il pizzicandò, danza e satira politica di carnevale, le cui origini pagane si perdono nella notte dei tempi.

 

A carnevale i pescatori, incappucciati da una rete, formata una piramide umana composta da sei persone sotto, quattro sopra e due in ultimo, a passi di una caratteristica danza, facevano il giro del paese cantando u pizzicandò.

 

Al passaggio la gente offriva ai componenti della piramide leccornie e molto vino.

 

La sbornia generale metteva fine al pizzicandò”.

“O vui ca state da sutta


tinitine forte ca ‘terra cadimo


si cadimo pigliamo ‘na botta


Pizzicandò ‘ndò ‘ndò.


O vui ca state da supa


Tinitivi forte ca ‘terra cadite


Si cadite pigliate ‘na botta


Sabatu ‘a sira, duminica notte.

 

Sempre in Calabria a Delianova troviamo il pizzicandò che qui viene chiamato “‘A Navi”.

 

Ma presenze del Pizzicandò si trovano anche in Sicilia.

 

Video della manifestazione lucana:

 

 

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