Il Santuario della Pietà di Irsina


 

Santuario della Pietà di Irsina.

 

Poco fuori città un piccolo ma importante sito lucano.

 

santuario della pietà di irsina

 

Il Santuario della Pietà di Irsina

 

Il caratteristico Santuario della Pietà sorge fuori dalle mura della città di Irsina. Il primo insediamento si attesta intorno al ‘500. Ma intorno al sito si narrano storie e leggende molto affascinanti.

 

Aspetti generali

 

Nei secoli della rinascenza, in particolare nel XVI secolo, in Irsina si assiste ad un decisivo incremento dell’attività edilizia religiosa.

 

Questo fu possibile grazie alla concorrenza di più fattori. Primo fra tutti il fatto che nel 1479 la diocesi di Irsina ottenne, dopo diverse vicende storiche, un Vescovo tutto per sè, nella fattispecie A. Maffei (1479-1482).

 

La presenza del Vescovo a tempo pieno portò da una parte ad una nuova e più copiosa disponibilità economica della diocesi.

 

Dall’altra la possibilità di avere un Vescovo che, oltre ad essere guida spirituale, divenne anche guida culturale.

 

Per tutto il XVI secolo ad Irsina furono mandati Vescovi dotti e saggi.

 

Fra questi sicuramente spicca la figura del cardinale G. D. De Cupis (1528-48) che si presenta nella storia della diocesi irsinese con alla spalle il fasto della Roma rinascimentale ricca dei capolavori di Michelangelo, Brunelleschi, Raffaello.

 

Questo Vescovo ebbe un ruolo importante anche nel Concilio di Trento dove era attestato su posizioni di rigido attaccamento alla tradizione cattolica e, pertanto, si può pensare che operò secondo lo spirito più genuino della riforma cattolica.

 

Dopo il De Cupis avremo altri Vescovi romani e questo portò ad un influsso dei modelli culturali romani, come ad esempio il rivolgersi agli edifici antichi per trarre ispirazione.

 

E nello stesso tempo gli stessi edifici, che non servivano più come tali, venivano trasformati od utilizzati come cave di materiale da costruzione, e dai loro marmi si faceva calce par fabbricare.

 

Uno dei nodi compositivi che si imporrà nel Rinascimento è il dibattito sulla pianta centrale o pianta longitudinale per l’edificio di culto.

 

Lo schema centrico, assai diffuso nell’antichità ed in prevalenza abbandonato nel Medioevo, ritorna in auge in questo periodo, in conseguenza del suo caricarsi di significati simbolici ovvero centricità come visualizzazione della coincidenza fra microcosmo umano e macrocosmo divino, cui fa riscontro una chiesa interpretata come vero e proprio Tempio cristiano, dimora della divinità.

 

Negli organismi centrali lo spazio interno può essere colto nella sua totalità, come cosmo armonico, mentre l’asse verticale diventa spesso l’elemento portante di una aggregazione gerarchizzata dello spazio, simbolo della ragione umana che al divino ascende e si fonde.

 

Anche gli impianti longitudinali acquistano, in questo periodo, piuttosto la caratteristica di impianti centrici allungati in un tentativo di mediazione fra le esigenze di culto di una chiesa a navate e quelle simboliche degli organismi a pianta centrale.

 

Su questi temi a Montepeloso si viene configurando un modello avente una pianta a nave unica con aula dei fedeli e presbiterio separati da un filtro; copertura piana nell’aula ed a volta nel presbiterio; facciata costituita da una unica fascia verticale con terminazione piatta; portale in asse sovrastato da una finestra.

 

In particolare si istituzionalizza, in accordo con lo spirito controriformista, un tipo di portale rettangolare costituito dai piedritti, architrave, listello, fregio liscio sovrastato da un cornicione.

 

Il Santuario

Situato appena fuori le mura, il santuario si erige in contrada “Pescara” zona ricca di orti che, grazie all’acqua presente in grande quantità, abbondano di ortaggi e verdure.

 

Circa la sua data di fondazione non abbiamo documenti probanti ma dall’analisi tipologica e dai due stemmi posti ai lati dell’altare emerge che essa sia opera del tardo ‘500.

 

Il primo documento che menziona la chiesa è una veduta prospettica contenuta nel testo Regno di Napoli in prospettiva del 1703 a cura di G. B. Pacichelli.

 

Mentre nella S. Visita del Vescovo D. Potenza (1718-1738) vengono interdetti i due altari laterali, quello di San Michele e quello di San Sebastiano, perché in penose condizioni.Evidentemente l’Università (civica amministrazione), a cui spettava la manutenzione, poco se ne curava.

 

Dal punto di vista tipologico il Santuario é identico alla chiesa di San Nicola solo che nella Pietà l’aula dei fedeli è leggermente più ampia e questo è legato alla funzione del manufatto che doveva accogliere una moltitudine di fedeli che qui si radunavano in occasione dei pellegrinaggi.

 

L’impianto si presenta come una pianta centrale allungata costituita dall’aula dei fedeli e dal presbiterio raccordati da un filtro dato da semicolonne avanzate. Meno curata, rispetto al San Nicola, appare la decorazione, infatti, qui troviamo nel filtro delle semplici nicchie senza edicola.

 

La copertura, che doveva essere costituita da una botte lunettata nel presbiterio e da un solaio nell’aula, è stata rifatta nel 1925 ed è formata da un solaio bottato coperto da capriata.

 

La presenza di mensole sulle pareti laterali ci fa pensare che qui si impostava un arco che andava ad articolare l’aula in due campate.

 

La luce penetra oltre che dalla rosa della facciata anche da finestre laterali poste sia nell’aula che nel presbiterio.

 

Il gusto archeologico, tipico della Roma rinascimentale, si evince sia dall’adozione, in facciata, della rosa e della terminazione piatta entrambi di origine romanica, sia dalla sostituzione dell’architrave del portale rettangolare con un arco in pietra di origine bizantina finemente lavorato in motivi geometrici e zoomorfologici.

 

Quest’arco, di pregevole fattura artistica, doveva essere l’arco di ingresso della vicina chiesa di Juso la cui facciata fu rifatta durante il vescovado di Mons. F. Susanna (1684-1706) Si può pensare che oltre all’arco, dai vicini ruderi della chiesa bizantina, sia stato asportato altro materiale in accordo con lo spirito del tempo. La finestra campanaria viene impostata sulla facciata laterale.

 

Da quanto abbiamo detto emerge che la Chiesa sia un’opera di gusto, o meglio, chi ha commissionato questa Chiesa possedeva un gusto formatosi nella cultura romana della seconda metà del ‘500.

 

Ciò emerge dai numerosi richiami michelangioleschi, dal gusto archeologico secondo cui è stata impostata la facciata e dalla dedica di un altare laterale a San Sebastiano la cui rappresentazione ha coinvolto numerosi artisti famosi del XVI secolo.

 

Abbiamo prima accennato alla uguaglianza tipologica del Santuario della Pietà con la Chiesa di San Nicola.

 

Quest’ultima era di giustapatronato della famiglia Abbate il cui palazzo ingloba la stessa chiesa.

 

Ma il rapporto tra la famiglia Abbate ed il Santuario della Pietà va oltre.

 

Infatti, oltre ad essere il santuario localizzato in terreni appartenuti alla famiglia Abbate esso conserva anche due stemmi della stessa posti ai lati dell’altare.

 

Questo ci porta a pensare che il finanziatore della costruzione (o ricostruzione) del Santuario sia un appartenente alla nobile ed antica famiglia irsinese.

 

D’altronde un atteggiamento tipico delle famiglie facoltose irsinesi nel XVI e XVII secolo fu proprio quello di finanziare le costruzioni o ricostruzioni di molte chiese.

 

Anzi la stessa famiglia Abbate fu la finanziatrice dei restauri della chiesa di S. Nicola (1665) e della chiesa di S. Andrea (1650).

 

In ambedue si trovano delle iscrizioni a carattere cubitale che ci ricordano l’anno di ristrutturazione e la famiglia che finanziò i lavori.

 

Il manufatto allo stato attuale è sottoposto, dopo decennale abbandono, ad un’opera di restauro.

 

Pertanto la chiesa è attualmente inagibile e quindi chiusa al culto con gran dispiacere dei fedeli che qui a Maggio si recavano in devoto pellegrinaggio.

 

Perchè fuori dalle mura irsinesi

Forti dubbi nascono in chi si appresta a studiare questo manufatto in quanto vi sono delle domande che per il momento non hanno risposta.

Ad esempio non si riesce a capire il perché di una scelta insediativa lontano dal paese ed accessibile solo per mezzo di strade irte e difficoltose.

 

Una risposta, che per il momento non ha nessun riscontro documentario, può essere data pensando al rapporto che il sito ha potuto avere con il vicino insediamento di monaci italo-greci dell’abbazia di Juso.

 

Sappiamo infatti che l’ascetica monacale orientale prevedeva tre stati monastici:

  • l’eremitismo in senso assoluto: la vita da solo nel silenzio, nella preghiera e nel digiuno;

 

  • l’eremitismo esicastico, cioè la vita solitaria con uno o più monaci, comunemente conosciuto come laura;

 

  • l’eremitismo cenobitico, cioè parecchi monaci che vivono in comunità.

 

Molti monaci sceglievano la prima via.

 

Quelli che ottenevano il permesso di vivere in eremitaggio, in grotte scavate nel sottosuolo per essere santuari o semplici abitazioni, dopo aver trascorso tutta la settimana da soli, il sabato sera si riunivano con gli altri monaci per cantare a vespro i salmi della Risurrezione.

 

Come pure la domenica mattina.

 

E così consumavano un pasto in comune e nel pomeriggio ognuno tornava nel suo eremo.

 

In questa chiave di lettura va vista l’antica grotta di S. Lucia sulla strada per Gravina.

 

Inoltre questi monaci si insediavano in luoghi vicino ad un torrente o sorgive d’acqua.

 

Detto questo possiamo ipotizzare che nei pressi del Santuario della Pietà vi fosse una grotta di eremita che dopo l’abbandono sia stata coperta da detriti e fango data la natura alluvionale dell zona.

 

Sappiamo anche che la chiesa cattolica, dopo il Concilio di Trento, intese sopprimere tutte quelle manifestazioni pagane e bizantine che ancora resistevano nell’Italia Meridionale, tramite la sostituzione di riti bizantini con riti latini, come appunto quello della Pietà.

 

A sostegno di questa tesi v’è la coincidenza delle date del fenomeno, prima menzionato, con la costruzione della chiesa, avvenuta negli anni immediatamente successivi alle emanazioni del concilio tridentino.

 

Inoltre, vi sono alcune leggende o tradizioni orali come ad esempio quella che vuole che nei pressi della Chiesa vi sia una camera ipogea a cui si accede da una stretta apertura.

 

Comunque sia, si ribadisce che questa è una tesi che per il momento non ha nessun riscontro documentario ma tuttavia suscettibile di ulteriori sviluppi.

 

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